Pastiera napoletana

Ci ho messo un sacco a trovare la combinazione per me giusta nel dosaggio degli ingredienti.
Questa è la mia versione migliore.
Ci sono parecchie ricette online di pastiere vegan, io ho voluto mantenere la mia frolla di mandorle con burro di cocco che è molto delicata da maneggiare ma talmente friabile e gustosa che nessuno si sogna di rimpiangere il burro vaccino ed ho aggiunto l’aquafaba per maggior morbidezza.
Inoltre, ho cercato di utilizzare farine integrali e di evitare zuccheri raffinati preferendo sciroppo di riso e zucchero di cocco per ottenere un dolce goloso (e sicuramente parecchio calorico) ma comunque sano.

La lavorazione è abbastanza lunga se consideriamo che la ricotta di soia dev’essere preparata un giorno prima (qui la ricetta, ho sostituito però l’aceto di mele con il limone più adatto ad una preparazione dolce e non bisognoso di risciacquo) e che anche l’aquafaba (qui la ricetta) richiede il suo tempo.

Bisogna disporre di tutti gli ingredienti, avere un po’ di tempo a disposizione e un po’ di manualità per maneggiare le strisce di frolla così delicata, ma garantisco un risultato strepitoso che stupirà chiunque.

Ricetta

Preparazione: 20 min + qualche ora di riposo per la ricotta
Cottura: 1 h

Ingredienti per una teglia di circa 26cm di diametro

  • per la frolla:
  • 200g di farina tipo 2 semintegrale (o miscela al 50% con farina di farro)
  • 100g di farina di mandorle
  • 50g di farina di mais fioretto
  • 120g di zucchero di cocco (o 100g di zucchero di canna)
  • 70g di burro di cocco deodorato
  • 50ml olio di semi di mais o girasole deodorato
  • latte vegetale q.b. per impastare
  • scorza di 1 limone grattuggiata
  • 1/2 cucchiaino di vaniglia
  • 1 pizzico di sale
  • 1 cucchiaino di bicarbonato
  • Per la farcitura:
  • 400g di grano cotto (peso da cotto)
  • 2 cucchiai di amido di mais (o riso o frumina)
  • 200g di ricotta di soia
  • 150ml latte di mandorle (o altro vegetale)
  • 100g sciroppo di riso
  • 50g zucchero di cocco (o 40 di canna)
  • 35g circa di arancia candita a pezzetti
  • 3 cucchiai di aquafaba
  • scorza grattuggiata di 1 limone
  • vaniglia in polvere
  • 2 fialette di acqua di fiori di arancio

Preparazione

  1. Il giorno precedente o alcune ore prima avremo preparato la ricotta di soia secondo le istruzioni indicate nel link qui sopra
  2. Mettere a stracuocere in un pentolino il grano cotto (acquistabile già pronto in vaso di vetro, non ho provato cuocendo il chicco crudo, piuttosto difficile da reperire) con i 150ml di latte di mandorle e i due cucchiai di amido di mais
  3. Quando il grano sarà diventato crema aggiungere lo sciroppo di riso, lo zucchero, la scorza di limone grattuggiata, i canditi e l'acqua di fiori.
  4. Lasciar raffreddare e aggiungere la ricotta
  5. Nel frattempo accendere il forno statico a 170° e preparare l'aquafaba quindi la frolla
  6. In un contenitore freddo versare l'acqua di governo di un vasetto di ceci (meglio se di vetro e bio, e ancora meglio se acqua di cottura di ceci secchi) e montare a neve ferma con un cucchiaio di zucchero a velo (anche di canna macinato) e qualche goccia di limone. Conservare in frigorifero fino al momento dell'uso
  7. In un mixer unire le farine, lo zucchero, il sale, la vaniglia, la scorza di limone e il bicarbonato. Miscelare bene e unire il burro di cocco e l'olio, mescolando a scatti. Aggiungere poco latte vegetale fino ad ottenere una consistenza sabbiosa ma che "stia insieme" prendendone un pezzetto fra le mani. Non arrivare a formare la classica palla.
  8. Sbiciolare in una teglia imburrata con burro di cocco i 3/4 del composto e schiacciare con le dita fino ad ottenere un copertura uniforme e un bordo di circa 2 cm
  9. Infornare la frolla per 15' nel frattempo impastare quella residua con poco latte solo per renderla più morbida, stenderla con un mattarello e ricavarne delle strisce con una rotella da posizionare sulla superficie
  10. Sfornare la frolla e riempirla con la crema, posizionare le strisce di frolla con molta delicatezza, poiché questo tipo di frolla con le mandorle è poco elastica e molto friabile (una volta cotta è il suo buono)
  11. Infornare nuovamente per 15' coprendo con un foglio di carta forno bagnato e strizzato e proseguire per altri 30' togliendo il foglio.
  12. L'ultima mezz'ora ho messo sotto la teglia di cottura una leccarda da forno per evitare che si cuocesse eccessivamente la base della torta, oppure metterla ad un ripiano più alto
  13. Sfornare e lasciar raffreddare molto bene. Se conservata in frigorifero e consumata il giorno successivo sarà perfetta

Informazioni

Secondo la leggenda nacque dal culto della sirena Partenope. Ma in realtà furono le suore a inventarla, mescolando gli ingredienti simbolo della Resurrezione con i fiori d'arancio del giardino conventuale. Ma qual è la ricetta originale? Grano in chicchi o frullato? E poi, ci vuole la cannella? La ricchezza degli ingredienti e la complessità dei gusti sembrano richiamare la cucina di corte. Ma l’incredibile affonda le sue radici nel mito. E dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura greca. Quando, secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, da dove si spandeva la sua voce melodiosa e dolcissima. Per ringraziarla si celebrava un misterioso culto, durante il quale la popolazione portava alla sirena sette doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitato in Europa: fatto, tra l’altro, che suscita non pochi dubbi sulla reale fondatezza storica della leggenda…), profumo della terra campana; le spezie, omaggio di tutti i popoli; e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena. Partenope gradì i doni, ma li mescolò creando questo dolce unico. con ogni probabilità, nacque molto più tardi: nel XVI secolo. In un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani. Probabilmente, quello di San Gregorio Armeno: un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni – racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone – dalla porta del convento che una monaca odorosa di millefiori apriva con circospezione, fuoriusciva una scia di profumo che s’insinuava nei vicoli intorno e, spandendosi nei bassi, dava consolazione alla povera gente per la quale quell’aroma paradisiaco era la testimonianza della presenza del Signore”. Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, “la Regina che non ride mai”, consorte del goloso “re bomba” Ferdinando II di Borbone, si fosse lasciata sfuggire un sorriso dopo un morso alla beneamata pastiera. “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”, commentò Ferdinando. Da La cucina italiana